Africa

Il percorso proposto espone reperti attribuibili ad alcune culture tradizionali del Continente africano, offrendo ai visitatori la possibilità di compiere un viaggio virtuale in luoghi lontani. E’ necessario premettere che, pur trattandosi di reperti particolarmente significativi, ogni singolo oggetto è forzatamente privo di ogni altro complemento. Perfino le bellissime maschere, senza i costumi dai vivaci colori, gli oggetti rituali, le musiche, i canti, l’ambiente e ogni altro elemento cerimoniale, non rendono che una pallida idea della effettiva ritualità.

All’ingresso, l’attenzione è catturata dai 2 grandi Tamburi Yoruba e dalla Grande Maschera Dogon, lunga oltre più di quattro metri, che accolgono i visitatori permettendo loro di cogliere immediatamente la portata dell’esposizione. Le prime vetrine riguardano culture estinte venute alla luce grazie a scavi archeologici.

Tra i reperti più significativi le figurette Sao e Nok, rappresentanti le più antiche raffigurazioni plastiche dell’Africa Nera risalenti a partire dal V sec. a.C.. I reperti fittili della cultura Djennè, datati dal XII al XVII sec. d.C., rappresentano per lo più personaggi di elevato lignaggio, evidenziato dalla presenza di ornamenti, abbigliamento e armi. I tratti tipicamente negroidi ben definiti e l’atteggiamento altamente espressivo denunciano l’elevata qualità artistica.

Pregevoli anche i reperti fittili della cultura Akan Ashanti. Sono aristocratici volti femminili che rispecchiano la società matriarcale Akan. Particolarissimo l’esemplare dal viso completamente piatto e dal corpo a cilindro, che ricorda in maniera impressionante gli specchi egizi del Nuovo Impero e, al tempo stesso, è di sorprendente modernità.

Accanto a queste terracotte, appaiono rare realizzazioni in steatite e un oggetto ligneo, eccezionalmente conservato, di figura equestre di Nommo Dogon, il mitico eroe fondatore che rubò il fuoco al cielo e lo donò agli uomini per realizzare armi e strumenti agricoli, ma anche oggetti rituali, essendo egli mediatore tra il divino e gli umani, tra i vivi e i defunti.

Molto rara è l’insegna di comando in lega di rame, che rappresenta due cavalieri Soninke. Il binomio uomo-cavallo è spesso associato al prestigio e al potere regale. Sulla parete si nota la maschera funeraria kanaga, usata dai Dogon nei riti che accompagnano le anime dei defunti e impediscono loro di tornare per danneggiare il villaggio.

Il percorso continua con reperti appartenenti alle popolazioni dall’area sudanese, dove la sopravvivenza è resa particolarmente difficile dal clima che inaridisce la savana. Sono oggetti rituali e d’uso quotidiano, anche se la quotidianità difficilmente è interamente disgiunta dalla ritualità. Tra i più significativi, ci sono la porta e le originali serrature Dogon, custodi dei granai dove si conservano i cereali, gli oggetti preziosi e gli altari familiari.

Nelle vetrine accanto si vede il copricapo antilope tyi wara, usato dai Bamana durante i riti agricoli. Rappresenta il mitico essere che smuovendo la terra con gli zoccoli insegnò agli uomini le tecniche agricole, mentre le sue lunghe corna simboleggiano i germogli di miglio. Come la maggior parte delle maschere e dei copricapo, anche questo è completato da un costume per il quale in particolare si utilizza la rafia. Durante la cerimonia, il movimento ondeggiante richiama l’idea della pioggia, indispensabile per il raccolto. Ancora Bamana è la maschera iniziatica in legno, conchiglie di cauri e semi di abrus. I cauri, usati un tempo come denaro, e i semi, riconducono all’abbondanza, alla fertilità ed alla necessità di propiziarsi il buon raccolto, per sopravvivere.

Particolarmente significative anche le raffigurazioni di antenati. In particolare le statuette Igala che esibiscono la loro sessualità senza perdere in regalità. Questa coppia mette in mostra gli organi sessuali quale rappresentazione dello strumento di continuità della discendenza. Essi sono il punto di partenza della parentela ancestrale, elemento fondamentale per l’identità individuale e l’appartenenza ad un lignaggio. Il colore bianco che il caolino conferisce alle figure, richiama l’idea della morte per associazione al colore delle ossa calcinate dei defunti. Altri oggetti in lega di rame, un anello Dogon e dei pendenti ornamentali Tusyan.
Ai Fulani appartengono le calebasse, sorta di bacili realizzati in scorza di zucca e magistralmente decorati, usati come contenitori e … per fare il bagno ai più piccoli!!

L’area successiva è riservata alle popolazioni che occupano le aree verdeggianti del Golfo di Guinea. Da notare l’altare mobile o l’asta sonora Yoruba, in ferro, mentre in legno, talvolta decorato con conchiglie, specchietti e altri elementi naturali, sono le maschere, bastoni cerimoniali, gli oggetti da divinazione e le figure antropo e zoomorfe. Le maschere-casco della società femminile Mende, usate dalle donne nei riti iniziatici o per giudicare chi vìola le leggi che regolano i doveri femminili, sono realizzate in legno reso lucido dall’olio di palma, mostrano tratti sinteticamente espressi, ma anche regalità e femminilità. Le elaborate acconciature, fedelmente riprodotte, testimoniano l’importanza di questo elemento in un gruppo che vede nell’incuria i sintomi della pazzia o della volgarità. Molto particolare il copricapo bifronte Ejagham che testimonia la dualità dell’esistenza con i binomi: uomo/donna, bene/male, passato/futuro, ecc. Il percorso continua con reperti dell’Africa Centrale appartenenti a popolazioni che occupano zone di foresta pluviale poco favorevoli agli insediamenti. Notevole il reliquiario Kota, realizzato con indubbio senso artistico. Molto originale anche la collana-amuleto Pende, costituita da cilindretti di pasta di vetro blu alternati a semi di muhafu scolpiti in guisa di testine. Significativi anche i feticci che appaiono nella vetrina successiva, con il loro involto di sostanze magiche inserito all’altezza del ventre. Alla fine del percorso si ritrovano reperti provenienti dall’Africa centro-orientale, donati da alcuni viaggiatori quali: Vincenzo Benvenuti, Pietro Biazzi, Fritz Legler senior e Cesare Viscardi a partire dal 1875. Particolarmente rappresentati i corredi di guerra quali lance, coltelli e scudi.

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